Spunta l’aurora

Abitazione dei Marchisio

Il 1° marzo 1833, a Racconigi, operosa cittadina del Piemonte, Clemente, il primogenito di Giovanni Marchisio e di Lucia Becchio, aprì gli occhi alla luce del mondo e con il battesimo ricevuto lo stesso giorno l’anima alla vita della grazia.

Giovanni Marchisio, padre del piccolo Clemente, il primogenito di casa Marchisio

Come fanciullo ebbe un carattere forte e puntiglioso. Ma la sapiente educazione della madre, l’esempio costante del padre, la frequenza alla vicina chiesa dei Padri domenicani valsero a moderarne il temperamento ed a modellarne l’anima.

Non sappiamo la data della sua prima Comunione, ma ci è nota quella della Cresima: 31 agosto 1843. Soldato di Cristo a dieci anni e mezzo. Da allora manifestò un singolare trasporto verso l’Eucaristia, che si rivelava nell’ardore con cui prestava servizio all’altare come chierichetto. Nulla di straordinario del resto: intelligenza comune, volontà tenace, spirito più pratico che teorico.

Lucia Becchio, madre del piccolo Clemente, il primogenito di casa Marchisio.

Il padre desiderava che seguisse la sua professione di calzolaio, considerandolo necessario per il sostentamento della famiglia che si era fatta numerosa con l’arrivo di Giovanni, Matteo, Giuseppe e Maria. Clemente invece preferiva continuare gli studi. Ma la famiglia non ne aveva i mezzi. Per sua buona sorte trovò persone buone che lo aiutarono, permettendogli così di frequentare il ginnasio.

Si arrivò pure al momento di un’altra decisione: ora, che strada prendere? Il giovane aveva già scelto di farsi sacerdote. Ne aveva più volte parlato al suo confessore.

Però questo era un problema grosso per la famiglia: nemmeno pensare di poter pagare la retta del Seminario! Dio però stava aspettando; le sue strade hanno svolte misteriose, dietro le quali si aprono orizzonti mai sognati.

Un sacerdote, don Giovanni Battista Sacco, s’interessò del problema e ottenne dai superiori il permesso di guidare Clemente Marchisio negli studi filosofici, senza farlo entrare in seminario.

L’abitazione dei Marchisio come è conservata oggi

IL GIORNO AVANZA

Nel 1849, a 16 anni, Clemente vestì l’abito ecclesiastico, mentre continuava gli studi ed intensificava la sua vita di pietà. Alla fine del 1851 gli si aprirono le porte del seminario di Bra, dove allora venivano accolti gli studenti di Torino. Idee rivoluzionarie e massoniche avevano decimato i seminaristi e i pochi che avevano resistito, avevano dovuto raccogliersi in un unico seminario per continuare il cammino.

Racconigi: stanza dove nacque Clemente Marchisio il 1° marzo 1833

Clemente si trovava finalmente nell’ambiente desiderato. Manifestò subito solidità di principi e profonda pietà personale. Durante quel periodo di formazione, gli fecero notare che il suo carattere taciturno e solitario avrebbe potuto essere d’impedimento per una efficace azione pastorale. Con tutta tenacia egli s’adoprò allora per piegarlo alle esigenze della vocazione: mutò la sua taciturnità e si aprì ad una vita comunitaria partecipata.

Statua della Vergine, ora nel cortile di casa dei Marchisio a Racconigi.

1854: il mondo cristiano esulta per la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Nel seminario di Bra tutti i chierici danno il meglio di sé per celebrare l’importante evento. Clemente vi partecipa con tutto il suo entusiasmo, componendo un’ode. La sua declamazione finisce tra uno scroscio di applausi che non lo esaltano, ma lo colmano di gaudio per aver dato onore all’Immacolata. Mezzo secolo dopo, alla vigilia del cinquantenario della proclamazione di quel dogma, don Clemente pronuncerà l’ultima predica della sua vita all’Immacolata. Una composizione poetica nella gioventù, una pagina di prosa nella vecchiaia: tra le due sfoglierà centinaia di altre pagine, tutte vibranti d’un sempre più prorompente amore mariano.

I suoi superiori non avevano dubbi sulla sua maturità spirituale e intellettuale, ma egli sì.

Ripeteva spesso a se stesso: «Presto sarò sacerdote, ma… sarò veramente un buon sacerdote?».

Si rifugiava allora nell’intimità di una più intensa vita di preghiera ai piedi della Madonna e di S. Giuseppe, in cui riponeva tutta la sua speranza.

A 23 ANNI È SACERDOTE

Settembre 1856. Grande festa a Racconigi: felici i genitori, i fratelli, tutti i suoi paesani. Molti avevano prestato la loro opera perché giungesse quel giorno. Avevano visto crescere quel giovane ed ora lodavano il Signore. Rimarrà indelebile il ricordo di quella terza domenica di settembre, quando don Marchisio salì i gradini dell’altare per offrire il sacrificio eucaristico, primo anello di una catena benedetta e santificatrice.

Tabernacolo della Parrocchia di Rivalba ai tempi di don Marchisio,

dinnanzi al quale il Beato era solito soffermarsi in preghiera e meditazione.

Ma il cammino della sua formazione non aveva ancor raggiunto la vetta. Egli sentiva la necessità di approfondire la teologia morale in ordine all’arduo compito di dirigere le anime nel sacramento della riconciliazione. Per questo entrò nel Convitto Ecclesiastico di Torino, diretto da don Giuseppe Cafasso, il maestro che sapeva comunicare agli alunni scienza e santità.

Il “sacerdote della forca” infatti non sapeva soltanto accompagnare al supplizio miserabili di ogni specie, sapeva pure far vibrare nel profondo le anime chiamate a istruire e a guidare il popolo di Dio. Nel voler tessere un elogio del suo grande maestro, don Clemente dichiarò di sé:

«Entrai in convitto essendo un gran birichino e testa sventata, senza sapere che cosa volesse dire essere prete; ne uscii affatto diverso, pienamente compreso della dignità del sacerdote».

 

IL MINISTERO SACERDOTALE

Il singolare trasporto del Beato Marchisio verso l’Eucaristia, considerata il centro della sua giornata.
1856, 1857, 1858: anni di arricchimento intellettuale e spirituale per il futuro intenso ministero sacerdotale, le cui tappe iniziali dovevano essere due piccoli paesi: Cambiano e Vigone. Don Clemente rimase a Cambiano quasi due anni come coadiutore, dedicandosi alla predicazione, all’assistenza degli ammalati e alla catechesi dei piccoli. Amato e stimato, pensava di avervi trovato il suo nido. Ma non tutti gli erano amici e molto meno il sindaco

Stola sacerdotale indossata da don Clemente

Un distaccamento di soldati francesi si era istallato in paese. Erano i tempi della seconda guerra dell’Indipendenza. La moralità ne risentiva per certi abusi che si andavano introducendo a Cambiano dovuti a relazioni non corrette tra i soldati e le ragazze del paese. Una spina nel cuore di don Marchisio, che un giorno tuonò dal pulpito:

«Soldati francesi e Gesù Cristo, va bene; ragazze, donne e Gesù Cristo, va anche bene; ma ragazze, donne e soldati senza Gesù Cristo, questo non va assolutamente bene».

Queste parole, ingigantite dalle male voci, causarono il suo allontanamento da Cambiano. Le buttarono in politica e don Marchisio dovette abbandonare il campo in cui aveva aperto solchi di bene, per ricominciare il suo lavoro altrove. Il suo maestro, don Giuseppe Cafasso, incaricato di comunicargli la notizia, sapeva quanto doveva costare al suo discepolo sottomettersi a quell’obbedienza, ma sapeva pure con quale spirito di fede l’avrebbe accettata. E così fu.

Vigone divenne la seconda tappa della sua vita sacerdotale. Il 31 ottobre 1859, sotto una persistente pioggia autunnale, giunse alla nuova parrocchia. Freddo il ricevimento in canonica. Senza preamboli gli si indica la sua stanza. Pochi metri quadrati a sua disposizione. Solo, allontanato da Cambiano e ricevuto con freddezza, ripeté a se stesso:

«Sono prete e sarò prete».

Così sfogò la sua amarezza interiore e, nella preghiera, rassodò le basi per la nuova missione sacerdotale.

Ogni volta che don Clemente era assillato da tribolazioni, correva al Tabernacolo come un bimbo tra le braccia della mamma.